LA CANZONE DEL PIAVE


LA CANZONE DEL PIAVE
canzone della Grande Guerra (prima guerra mondiale 1915-18)



La canzone del Piave, conosciuta anche come La leggenda del Piave, è una delle più celebri canzoni patriottiche italiane. Il brano fu scritto nel 1918 dal maestro Ermete Giovanni Gaeta, sia testo che musica.
                         
                

I fatti storici che ispirarono l'autore risalgono al giugno del 1918, quando l'Impero austro-ungarico decise di sferrare un grande attacco sul fronte del fiume Piave per piegare definitivamente l'esercito italiano, già reduce dalla sconfitta di Caporetto.
L'esercito imperiale austriaco  fu costretto ad arrestarsi a causa della piena del fiume. Ebbe così inizio la resistenza delle Forze armate del Regno d'Italia, che costrinse gli austro-ungarici a ripiegare.

 L'inno contribuì a ridare morale alle truppe italiane, al punto che il generale Armando Diaz (generale dell’esercito italiano) inviò un telegramma all'autore nel quale sosteneva che aveva giovato alla riscossa nazionale più di quanto avesse potuto fare lui stesso: «La vostra leggenda del Piave al fronte è più di un generale!»

Lo spartito originale fu pubblicato solo dopo la guerra. Sul frontespizio c’era  un'aquila bicipite(l'Austria) trafitta da un gladio (l'Italia) coperto di sangue con inciso SPQR (senatus populusque romanus, simbolo della repubblica romana), insieme a una frase scritta dal poeta Gabriele D'Annunzio: «Non c'è più se non un fiume in Italia, il Piave; la vena maestra della nostra vita. Non c'è più in Italia se non quell'acqua, soltanto quell'acqua, per dissetar le nostre donne, i nostri figli, i nostri vecchi e il nostro dolore»




Il Piave mormorava,
calmo e placido, al passaggio
dei primi fanti, il ventiquattro maggio (ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale);
l'esercito marciava
per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera...

(era l'occasione per liberare il Trentino e la Venezia Giulia dal dominio austriaco)


Muti passaron quella notte i fanti:
tacere bisognava, e andare avanti!

S'udiva intanto dalle amate sponde,
sommesso e lieve il tripudiar dell'onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero,
il Piave mormorò:
«Non passa lo straniero!»

Ma in una notte trista
si parlò di un fosco evento,
e il Piave udiva l'ira e lo sgomento (grave turbamento)...
Ahi, quanta gente ha vista
venir giù, lasciare il tetto (la propria casa),
poi che il nemico irruppe a Caporetto!
(grande sconfitta degli italiani a Caporetto)


Profughi ovunque! Dai lontani monti
Venivan a gremir tutti i suoi ponti!

S'udiva allor, dalle violate sponde,
sommesso e triste il mormorio de l'onde:
come un singhiozzo, in quell'autunno nero,
il Piave mormorò:
«Ritorna lo straniero!»

  E ritornò il nemico;
per l'orgoglio e per la fame
volea sfogare tutte le sue brame ( gli austriaci erano 
spinti dall’orgoglio di riconquistare le terre da cui erano stati cacciati durante le guerre di indipendenza)...
Vedeva il piano aprico (aperto e soleggiato),
di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare (esultare) come allora...

«No!», disse il Piave. «No!», dissero i fanti,
«Mai più il nemico faccia un passo avanti!»

Si vide il Piave rigonfiar le sponde,
e come i fanti combatteron l'onde...
Rosso di sangue del nemico altero (presuntuoso),
il Piave comandò:
«Indietro va', straniero!»

 Indietreggiò il nemico
fino a Trieste, fino a Trento...
E la vittoria sciolse le ali al vento!
Fu sacro il patto antico:
tra le schiere, furon visti
Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti (patrioti che hanno dato la vita per l'Italia)...

Infranse, alfin, l'italico valore
le forche e l'armi dell'Impiccatore!

Sicure l'Alpi... Libere le sponde...
E tacque il Piave: si placaron l'onde...
Sul patrio suolo, vinti i torvi (minacciosi) Imperi,
la Pace non trovò
né oppressi, né stranieri!








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